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Black, Brown and White

20 Gennaio 2009, Inauguration Day. Barack Obama giura sulla Bibbia di Lincoln e diventa ufficialmente il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti. Quali che siano i giudizi politici che si vogliono dare sulla sue elezione, l’enorme valore simbolico dell’ingresso alla Casa Bianca del primo presidente nero è indiscutibile. “A man whose father less than 60 years ago might not have been served in a local restaurant can now stand before you to take a most sacred oath”, “un uomo, al cui padre 60 anni fa poteva essere negato di venire servito al ristorante, adesso è di fronte a voi a pronunciare un giuramento sacro”1 e siede a capo della nazione più potente del mondo.

Terminato il discorso inaugurale di Obama è il momento della benedizione, affidata al reverendo Joseph Lowery (il quale, per inciso, riceverà da Obama la Presidential Medal of Freedom nell’Agosto dello stesso anno). Nato nel 1921 ad Huntsville, Alabama, Lowery non è un pastore metodista qualunque. Attivista dagli anno ‘50, dopo l’arresto di Rosa Parks del 1955 contribuì a guidare il boicottaggio degli autobus a Montgomery; diresse la Alabama Civic Affairs Association, un’organizzazione impegnata nella desegregazione degli autobus e dei luoghi pubblici; nel 1957 fondò, con Martin Luther King, la Southern Christian Leadership Conference; partecipò nel 1965 alla storica marcia da Selma a Montgomery (che si svolse a tappe in più giorni, per cui è forse più corretto parlare di “marce”), grazie alla quale nello stesso anno venne approvato il Voting Rights Act, col quale venne proibita la discriminazione razziale nel voto; ed è sempre rimasto una figura importante nelle lotte per i diritti civili. Lowery inizia la sua preghiera citando praticamente parola per parola l’ultima strofa di Lift Every Voice And Sing — una poesia scritta nel 1899 da James Weldon Johnson e successivamente musicata dal fratello, John Rosamond Johnson, diventata poi l’inno ufficiale della NAACP. La benedizione di Lowery termina con queste parole:

Lord, in the memory of all the saints who from their labors rest, and in the joy of a new beginning, we ask you to help us work for that day when black will not be asked to get in back; when brown can stick around; when yellow will be mellow; when the red man can get ahead, man; and when white will embrace what is right.

Signore, in memoria di tutti i santi che ora riposano dalle loro fatiche e nella gioia di un nuovo inizio, ti chiediamo di aiutarci a lavorare per quel giorno in cui al nero non verrà detto di andarsene; quando chi ha la pelle scura potrà restare; quando chi è giallo potrà starsene tranquillo; quando il pellerossa potrà farsi strada; e quando l’uomo bianco accetterà ciò che è giusto.2

Con consumata abilità retorica Lowery traccia una linea che, partita dalle altezze di Lift Every Voice And Sing, alla fine piega bruscamente verso il basso e riporta tutti alla realtà con le parole che Big Bill Broonzy aveva usato come amaro ritornello in Black, Brown and White più di sessant’anni prima, prendendole a sua volta da una vecchia filastrocca per bambini. Dal tono si capisce che Lowery vuole stemperare la solennità del discorso ormai giunto alla conclusione, e i presenti sorridono, colti alla sprovvista. A molti non piacerà quell’ultima parte della benedizione, che giudicheranno non consona alla solennità del momento e addirittura daranno a Lowery del razzista: perché mai è all’uomo bianco che si chiede di accettare ciò che è giusto? Forse che adesso vive nell’errore? E se quelle parole le avesse pronunciate un bianco indirizzandole ai neri? Non è forse questo un caso evidente di reverse racism, di razzismo inverso? Ed è tollerabile in un contesto del genere l’uso di quegli epiteti razziali come “giallo” e “pellerossa”? Chi si pone tali domande ignora — o finge di ignorare — non solo la storia passata degli Stati Uniti, ma quella presente; e non comprende — o, ancora una volta, finge di non riuscirci — il senso di quello che vede e che ascolta.

Anche Broonzy ebbe difficoltà a far accettare quelle parole in Black, Brown and White — troppo chiare e dirette, questo era il problema. Pubblicata per la prima volta in forma scritta sul bollettino dell’Ottobre 1946 di People’s Songs, il primo ad incidere Black, Brown and White fu Brownie McGhee nel 1947 per la Encore (etichetta discografica di Irwin Silber e McGhee), attribuendo correttamente la paternità del brano a Broonzy in copertina; Pete Seeger la incise nel 1948 per la Charter (verrà poi ripubblicata in Songs for Political Action: Topical Songs and the American Left 1926–1953 dalla Bear Family Records nel 1996).3 Nel Settembre del 1951, Broonzy registrò il brano per l’etichetta francese Vogue, e poi per la Mercury a Novembre; quest’ultima però la pubblicherà solo nel 1958 col titolo di Get Back, dopo la morte di Broonzy nello stesso anno. Broonzy registrò Black, Brown and White anche nel 1956, in un disco pubblicato nel 1957 dalla Folkways intitolato His Story — Big Bill Broonzy Interviewed by Studs Terkel.4 In questa lunga e bella conversazione con Terkel, Broonzy parla della sua vita, della sua musica e attraverso la sua musica. A proposito dell’origine di Black, Brown and White e di come venne recepita, dice:

Well, I wrote Black, Brown and White in nineteen… 1939 it was, and I started singing’ in 1939 because I was working at a foundry at that time. And, well, I was a moulder […]. They hired a fella there and put him to work with me and he worked with me for about — I guess — around a month, and then he got to be the boss there; and that’s why he would tell me what to do after that, after I learned him what I know’d and he got to be the boss then, so… Then he was telling me how I should do these things. So after that I just wrote a song about it. This song for fact is written about my life. There’s lot of people don’t like it because of the word “get back”. Well, there’s a lot of people in the world have never had to get back but I wrote it because I had to get back.

Scrissi Black, Brown and White nel millenovecento… Era il 1939, e iniziai a cantarla nel 1939 perché all’epoca lavoravo in una fonderia. Facevo il modellatore. […] Assunsero un tale e lo misero a lavorare con me, lavorò con me per circa un mese, mi pare, e alla fine diventò il capo; perciò adesso era lui che mi diceva quella che dovevo fare, dopo che io gli avevo insegnato quello che sapeva ed era riuscito a diventare il capo, e quindi… Alla fine era lui che mi diceva come dovevo fare il mio lavoro. Così ci ho scritto una canzone.
Senza dubbio questa è una canzone sulla mia vita. A molta gente non piace per via delle parole “get back”, “va’ via”. Beh, molta gente a questo mondo non è mai stata costretta ad andarsene ma io ho scritto questa canzone perché a me è capitato di essere mandato via.5

In un’altra intervista, Broonzy spiega la reazione delle case discografiche al suo brano e le circostanze che portarono all’incisione per la Mercury:

“What’s wrong with it, I would like to know? What I say is just about the way the working Negro is treated in this country on all jobs in the North, in the East and in the West, and you all know it’s true.”
“Yes,” they would say to me, “and that is what’s wrong with that song. You see, Bill, when you write a song and want to record it with any company, it must keep the people guessing what the song means… And that song comes right to the point and the public don’t like that.” One day I got a letter from the Mercury Recording Company that told me to get ready with about eight songs for a recording session. That was in January 1952. I recorded Black, Brown and White that time, but it hasn’t been released. Of course I know that the Mercury Company recorded it because of Mr. John Hammond [who was then vice president of Mercury]. I played it to him once in 1946. Him and Alan Lomax both liked it. Mr. Hammond said to me: “Bill, that’s a good song you’ve got there, why don’t you record it?” “I’ve tried nearly all the companies, but they don’t like it.” He smiled and said, “They will.” So that’s why it has finally been recorded in the States, too… Of course there’s nothing wrong with the song… this song doesn’t mean for a Negro to get back, it just tells what has happened on jobs where Negroes goes to.”

“Che cos’ha che non va [questa canzone], vorrei sapere? Parlo solo del modo in cui il lavoratore nero viene trattato in questa nazione nel nord, a est e nel sud, e lo sapete che è la verità.”
“Esatto,” mi dicevano, “ed è proprio questo il problema di quella canzone. Vedi, Bill, quando scrivi un pezzo e vuoi che una casa discografica lo pubblichi, devi fare in modo che la gente debba indovinare da sola il significato della canzone… La tua invece arriva dritta al punto e questo alla gente non piace.” Un giorno ricevetti una lettera dalla Mercury Recording Company in cui mi dicevano che dovevo tener pronti circa otto pezzi per una sessione di registrazione. Era il Gennaio del 1952. Quella volta registrai Black, Brown and White, ma non venne mai pubblicata. Se la Mercury mi permise di registrarla fu grazie a John Hammond [che era all’epoca vicepresidente della Mercury]. Gliel’avevo fatta ascoltare nel 1946. Piacque sia a lui che ad Alan Lomax. Il signor Hammond mi disse: “Bill, hai scritto un bel pezzo, perché non lo incidi?” “Ho provato a farlo praticamente con tutte le case discografiche, ma a loro non piace.” Sorrise e disse, “Gli piacerà.” E così finalmente la incisi anche negli Stati Uniti… Chiaramente non c’è niente che non va in questa canzone… questa canzone non vuol dire che un nero deve farsi da parte, semplicemente descrive la realtà che il nero affronta sul posto di lavoro.”6

Troppo spesso confondiamo la causa di un problema con chi quel problema lo denuncia, come se la colpa della nostra malattia fosse del medico che ce l’ha diagnosticata. Ce la prendiamo con chi grida “Al fuoco!” perché ci ha svegliati dal sonno; e dopotutto non potrebbe essere stato proprio lui ad appiccare l’incendio? Con la stessa logica fallace ce la prendiamo con i vari Lowery, i Broonzy e con quanti ci mostrano le cose per quello che sono costringendoci a chiamarle col loro vero nome; e per noi non fa differenza se ce lo dicono con gentilezza o se ce lo mettono in musica con un bel motivo orecchiabile.

Obama rimarrà in carica fino al 20 Gennaio del 2017, data in cui prenderà il suo posto un uomo che, assieme ai suoi accoliti, proverà con ogni mezzo a rendere gli Stati Uniti — a suo dire — una grande nazione “di nuovo”. “Make America Great Again” è il loro slogan; ma non diranno mai in quale periodo della storia degli Stati Uniti sia da cercare quella grandezza che vogliono ricreare — dopotutto gli Stati Uniti non hanno mai smesso di essere, nel bene o nel male, un grande paese, sin da prima della Dichiarazione di Indipendenza del 1776. Forse hanno a modello un passato recente, forse gli anni in cui al padre di Obama poteva essere negato l’ingresso al ristorante, o forse un’epoca ancora più lontana nel tempo, difficile dirlo. Quello che è certo è che per qualunque americano non-white quell’again rappresenta più una minaccia che una promessa; ed oggi, a pochi mesi dalla scadenza del primo mandato — che potrebbe non essere l’ultimo — del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, vediamo con chiarezza quanto le parole del ritornello di Big Bill Broonzy continuano ad essere attuali, non soltanto in America, purtroppo. Tocca ad ognuno di noi fare in modo che il ritornello di Big Bill Broonzy diventi un ricordo del passato.

Black, Brown and White

Big Bill Broonzy

Big Bill Broonzy, His Story — Big Bill Broonzy Interviewed by Studs Terkel, Folkways Records, FG3586 e FW03586, 1957

This little song that I’m singin’ about, people, you know it’s true
If you’re black and gotta work for livin’, now, this is what they will say to you,
They says, “If you was white, should be alright, if you was brown, stick around,
But as you black, oh, brother, get back, get back, get back”

I was in a place one night, they was all havin’ fun,
They was all buyin’ beer and wine, but they would not sell me none,
They said, “If you was white, should be alright, if you was brown, stick around,
But as you black, oh, brother, get back, get back, get back!”

I went to an employment office, I got a number and I got in line,
They called everybody’s number, but they never did call mine
They said, “If you was white, should be alright, if you was brown, stick around,
But as you black, oh, brother, get back, get back, get back!”

Me and a man was workin’ side by side, this is what it meant:
They was payin’ him a dollar an hour, and they was payin’ me fifty cents
They said, “If you was white, should be alright, if you was brown, stick around,
But as you black, oh, brother, get back, get back, get back!”

I helped build this country, and I fought for it too,
Now, I guess that you can see what a black man have to do
They says, “If you was white, you’s alright, if you was brown, stick around,
But as you black, oh, brother, get back, get back, get back!”

I helped win sweet victory with my little plow and hoe
Now, I want you to tell me, brother, what you gonna do ’bout the old Jim Crow?
Now, if you was white, you’s alright, if you was brown, stick around,
But if you’s black, oh, brother, get back, get back, get back!

Nero, Scuro e Bianco

La canzone che sto per farvi sentire, gente, lo sapete che dice la verità,
Se sei nero e devi lavorare per vivere, ecco cosa ti diranno
Ti dicono: “Se eri bianco eri a posto, se eri scuro potevi restare,
Ma siccome sei nero, oh, fratello, va’ via, va’ via, va’ via!”

Una sera mi trovavo in un posto, tutti se la spassavano,
Tutti bevevano birra e vino, ma a me non li vendevano,
Dicevano: “Se eri bianco eri a posto, se eri scuro potevi restare,
Ma siccome sei nero, oh, fratello, va’ via, va’ via, va’ via!”

Sono andato in un ufficio di collocamento, ho preso un numero e mi sono messo in fila,
Hanno chiamato tutti i numeri ma il mio non lo hanno chiamato mai
Mi hanno detto: “Se eri bianco eri a posto, se eri scuro potevi restare,
Ma siccome sei nero, oh, fratello, va’ via, va’ via, va’ via!”

Io e un altro uomo lavoravamo fianco a fianco, ecco com’è andata la cosa:
A lui davano un dollaro l’ora e a me cinquanta centesimi
Dicevano: “Se eri bianco eri a posto, se eri scuro potevi restare,
Ma siccome sei nero, oh, fratello, va’ via, va’ via, va’ via!”

Ho aiutato a costruire questa nazione, ho anche combattuto per essa,
Ora immagino che comprendiate cosa deve fare un nero
Dicono: “Se eri bianco eri a posto, se eri scuro potevi restare,
Ma siccome sei nero, oh, fratello, va’ via, va’ via, va’ via!”

Ho aiutato a ottenere dolci vittorie con il mio piccolo aratro e la mia zappa
Ora voglio che tu mi spieghi, fratello, cosa ne farai del vecchio Jim Crow?
Se eri bianco eri a posto, se eri scuro potevi restare,
Ma siccome sei nero, oh, fratello, va’ via, va’ via, va’ via!

Note


  1. Barack Hussein Obama, «President Barack Obama’s Inaugural Address» (Discorso, Washington, D.C., 20 gennaio 2009). Trascrizione completa reperibile all’indirizzo https://obamawhitehouse.archives.gov/blog/2009/01/21/president-barack-obamas-inaugural-address. ↩︎
  2. Joseph Lowery, «Benediction at Obama Inauguration» (Discorso, Cerimonia per l’insediamento presidenziale di Barack Obama, Washington, D.C., 20 gennaio 2009). Una trascrizione integrale del discorso tenuto da Lowery è reperibile qui: «Civil Rights Icon Rev. Joseph Lowery Delivers Benediction at Obama Inauguration», Democracy Now!, consultato 4 maggio 2020, http://www.democracynow.org/2009/1/21/civil_rights_icon_rev_joseph_lowery. ↩︎
  3. Ellen Harold e Peter Stone, «Big Bill Broonzy», The Association for Cultural Equity, consultato 30 aprile 2020, http://www.culturalequity.org/alan-lomax/friends/broonzy ↩︎
  4. Big Bill Broonzy, His Story — Big Bill Broonzy Interviewed by Studs Terkel, Folkways Records, FG3586 e FW03586, 1957. Intervistatore: Studs Terkel; note all’album: Charles E. Smith; designer: Irwin Rosenhouse. ↩︎
  5. Big Bill Broonzy, “Black, Brown and White”, traccia #8 in His Story — Big Bill Broonzy Interviewed by Studs Terkel, Folkways Records, FG3586 e FW03586, 1957. ↩︎
  6. Marion Barnwell, a c. di, A Place Called Mississippi: Collected Narratives (Jackson: University Press of Mississippi, 1997), pp. 317-318. Citato in: Ellen Harold e Peter Stone, «Big Bill Broonzy», The Association for Cultural Equity, consultato 30 aprile 2020, http://www.culturalequity.org/alan-lomax/friends/broonzy ↩︎

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